mercoledì 19 agosto 2015

Giù la maschera .. oppure W la mucca

Scendere nei dettagli della trama de L’uomo che fu Giovedì è un atto di slealtà nei confronti dei futuri lettori. Perché un giallo va seguito passo dopo passo, e non c’è niente di peggio del tizio che salta su prematuramente a dire: “L’assassino è il maggiordomo!”. Perciò, per quanto possibile, cercherò di parlare per metafore, cioè cercherò di mettere a fuoco l’ultimo tassello della mia riflessione, senza esplicitare troppo gli elementi specifici della storia.
  1. Giù la maschera! … oppure: W la mucca
Uno dei temi più sviscerati dalla letteratura novecentesca è stato il rapporto tra realtà e apparenza. Quel gigante di Pirandello ha sondato ogni meandro del rapporto dell’uomo con la sua identità, o meglio, col problema della sua identità: chi sono io? chi è l’altro?
Scelgo una citazione, tra le mille possibili, da Il piacere dell’onestà:
René Magritte
René Magritte
«Ecco veda, signor Marchese: inevitabilmente, noi ci costruiamo. Mi spiego. Io entro qua, e divento subito, di fronte a lei, quello che devo essere, quello che posso essere – mi costruisco – cioé, me le presento in una forma adatta alla relazione che debbo contrarre con lei. E lo stesso fa di sè anche lei che mi riceve. Ma, in fondo, dentro queste costruzioni nostre messe così di fronte, dietro le gelosie e le imposte, restano poi ben nascosti i pensieri nostri più segreti, i nostri più intimi sentimenti, tutto ciò che siamo per noi stessi […]».
Chi parla è Angelo Baldovino, un pover’uomo che per denaro ha accettato di sposare Agata, rimasta incinta dal Marchese Colli, che non può sposarla perché già ammogliato. Il tema della maschera viene evocato in modo inappuntabile in queste parole, e Baldovino/Pirandello descrive benissimo qualcosa di concreto e vero, che tutti conosciamo. Nelle relazioni tra noi e gli altri c’è sempre un filtro, che poi si rifrange in una moltitudine di filtri: c’è l’immagine di me che io do agli altri, c’è l’immagine che gli altri si fanno di me; c’è l’immagine con cui gli altri si mostrano a me, c’è l’immagine che io mi faccio degli altri. Da questo punto di vista, ogni incontro umano potrebbe apparire solo un gioco di specchi, con l’implicazione che sia impossibile un contatto umano autentico.
Tutto ciò è una ferita bruciante. Gli autori, come Pirandello, che hanno documentato questa lacerata e imperfetta natura nei rapporti umani, hanno fatto sanguinare la ferita. Ed è un bene.
Anche Chesterton ci fece i conti, e vorrei quindi sollecitare gli insegnanti a tenere conto della sua voce nell’ambito della letteratura novecentesca, perché lui ci ha lasciato un contributo di valore, offrendoci un punto di osservazione che sconfigge l’ombra scura dell’apparenza e propone una via per ridare pieno valore di autorità alla realtà.
Mi spiego, Chesterton non ha risolto il problema della «maschera», ma ha proposto un modo coraggioso per affrontare con energica fiducia il tema dell’identità, affinché il dubbio non avesse l’ultima parola nel nostro rapporto col mondo e con gli altri. L’uomo che fu Giovedì, ne è una delle testimonianze più luminose. Fu scritto nel 1908, quando contemporaneamente Pirandello pubblicava L’umorismo; fu scritto, ci informa Stephen Medcalf, da un confronto con Joseph Conrad (in occasione di un pranzo presso un circolo culturale, GKC e Conrad discussero di un attentato dinamitardo avvenuto a Londra, e ciò diede lo spunto a Conrad per scrivere il celebre L’agente segreto, che uscì nel 1907, e a Chesterton per scrivere il Giovedì). Insomma, è un’opera pienamente collocata nel dibattito del suo tempo, eppure le storie della letteratura la ignorano.
Il tema della maschera, cioè dell’aspetto di sé che ciascuno offre agli altri e – forse – dietro cui ciascuno vuole celare se stesso, è uno degli elementi cardine dell’avventura di Gabriel Syme; lui stesso indosserà una maschera, cioè si fingerà un anarchico per sedere nel Grande Consiglio degli Anarchici. Fanno parte di questo consiglio sei Consiglieri e un Presidente; essendo in sette, ciascuno porta il nome di un giorno della settimana. Scrutando a uno a uno i Consiglieri, durante una colazione del consiglio, Gabriel (eletto a ricoprire il ruolo di Giovedì) ne resta atterrito. Ne è un esempio perfetto il Dottor Bull, che porta il nome di Sabato, e il cui volto pare un enigma terrificante:
All’estremità del tavolo sedeva l’uomo chiamato Sabato, il più semplice e insieme il più sconcertante di tutti. […] Non c’era nulla di strano in lui, tranne il paio di occhiali scuri e opachi che portava. […] Lo sguardo di Syme era catturato da quegli occhiali neri e dalla smorfia cieca di quel viso. […]. Quelle lenti impedivano di comprendere il senso di quel Occhialivolto, perché era impossibile dire cosa significassero quel sorriso e quell’austerità.
Non occorrono mirabolanti travestimenti, a volte basta un tocco di oscurità o un velo di opacità per renderci imperscrutabili agli occhi degli altri. Lo scontro con ciascuno di questi sei terribili Consiglieri porterà Gabriel a esasperare l’angoscia di sentirsi catapultato in un mondo di maschere, in un universo in cui non esistono criteri per distinguere un amico da un nemico. Un universo anarchico, appunto; e questo è un altro tassello dell’incubo. Per Gabriel l’ossessione del dubbio raggiunge il vertice nel momento in cui si trova a fuggire proprio da una folla di anarchici che lo inseguono col volto mascherato; la fuga lo porta ad attraversare un bosco – una selva oscura – in cui sprazzi di luci e ombre disorientano completamente la vista:
Il fitto del bosco era pieno di sprazzi di luci improvvisi e ombre vibranti; tutto ciò diffondeva sulle cose un tremolio, che procurava una sorta di vertigine … . Per Syme era persino difficile distinguere le solide figure di chi gli camminava accanto, a causa di quel balletto di luci e ombre. […] E se tutti stavano indossando una maschera? Chi era cosa? … Dopo tutti questi stravolgimenti era propenso a chiedersi cosa distinguesse un amico da un nemico. Esisteva qualcosa oltre l’apparenza?
Interrompo la citazione in corso per spiegarne il senso simbolico, usando le parole dello stesso Chesterton, il quale non si lasciò sfuggire un’occasione golosa che gli offrira l’inglese, lingua in cui le parole amico (FRIEND) e nemico (FIEND) sono ancora più simili che in italiano. Spiega quindi GKC:
«In un incubo anche le facce degli amici (FRIENDS) possono apparire come facce di nemici (FIENDS). Ma c’è davvero del bene da scovare nei posti più improbabili e può accadere che chi si combatte a vicenda stia in realtà combattendo dalla stessa parte, quella giusta; ma è un bene che noi lo ignoriamo, perché l’anima deve sentirsi solitaria nella lotta o non ci sarebbe spazio per il coraggio».
Ecco qua il ribaltamento – paradossale – di cui l’intelligenza di Chesterton è stata capace: ci può essere un valore positivo nei mascheramenti reciproci degli esseri umani. Io non leggo candidamente nel cuore di chi mi sta accanto; questa «imperfetta» conoscenza concede al singolo di «sentirsi» solo nel momento della lotta, di non nascondersi dietro una facile compagnoneria. Ma poi, il senso anche vertiginoso e doloroso di questo confronto solitario, ha proprio lo scopo di farmi accorgere che, davvero, chiunque ho accanto a me – anche il nemico – è un amico. Perché tutti siamo sentinelle cooptate in questa battaglia di dare un nome al mistero del mondo. Con drammi diversi e persino opposti, perseguendo scopi divergenti, aderendo a ideali umani differenti, tutti – nel profondo – siamo dentro la stessa battaglia. Stiamo al cospetto del buio e cerchiamo quella lampada luminosa che possa far sparire le tenebre.
L’unico nemico reale e di ogni creatura è la menzogna diabolica della separazione, la tentazione di chiudere i ponti con il reale, di ergere la mente a idolo. È quella tentazione che il giovane Innocent Smith di Uomovivo sentiva quando era portato a credere che l’universo riflesso nella pozzanghera avesse una stella in più del cielo vero e proprio. E qui torno alla citazione, che riguarda Gabriel smarrito nel bosco e in preda a dubbi sull’esistenza di ogni cosa:
«In fondo, non era forse vero che tutto, come in quel bosco incantato, consisteva in una danza tra il buio e la luce? Ogni cosa è solo un bagliore, un bagliore che giunge sempre inaspettato e che sempre viene subito dimenticato. Ecco che Gabriel Syme aveva trovato nel fitto di quel bosco punteggiato di luce ciò che vi trovarono molti pittori moderni: era ciò che la gente moderna definisce Impressionismo, un altro nome per identificare quello scetticismo estremo, incapace di trovare le fondamenta dell’universo».
Claude Monet - Impression, soleil levant
Claude Monet – Impression, soleil levant

Intendiamoci, qui Chesterton non sta scagliandosi contro Monet&Co, ma sta puntando il dito contro una pericolosa visione dell’umano e che egli traduce per immagini richiamandosi all’Impressionismo. Chesterton frequentò la scuola d’arte e rimase poi, in qualsiasi contesto di scrittura, una mente essenzialmente pittorica. Nella sua Autobiografia spiegò bene questo appunto critico nei confronti del presupposto teorico che muove l’artista impressionista:
«Penso tuttavia ci fosse qualcosa di spirituale nell’impressionismo, in rapporto con la sua epoca, che era l’epoca dello scetticismo. Intendo che raffigurava lo scetticismo nel suo aspetto soggettivo. Il suo principio era che, se di una mucca si vedeva una linea bianca e una sfumatura color porpora, bisognava ricreare la sfumatura, non la mucca. Era necessario credere nella linea e nella sfumatura, non nella mucca».
Lo scetticismo, quel dubbio radicale che è capace di portare la mente fino all’anarchia, può essere sconfitto solo in un modo: ascoltare il fischio che proviene dal reale, non lasciare che le voci delle mente coprano la voce del mondo reale. La sentinella messa alla prova fino all’estremo, Gabriel, ha sentito una voce semplice e concreta che proveniva dall’esserci delle cose. A quella voce bisogna dare credito. Ed è proprio quello che Gabriel fa in quel bosco oscuro: sentendosi pervaso dalle ombre del dubbio, costringe sé stesso a muoversi verso le persone che gli stanno vicino e «con due impazienti falcate» raggiunge l’ispettore Ratcliffe, che lo precede. Bisogna costringere lo sguardo a confrontarsi con la presenza delle cose, non con il loro riflesso inesistente creato dalla mente.
Se il primo passo è la lotta solitaria col buio, la seconda fase della lotta è non perdere il frutto buono dello scontro col buio: l’aver distintamente udito il fischio della realtà. E, in questa seconda parte della battaglia, che è la pars costruens, ci è compagno e amico chiunque si trovi accanto a noi, anche se ha l’aspetto di un nemico. Ed è amico perché la sua battaglia è, al fondo, la nostra stessa. Ne è un altro esempio la condotta di Innocent Smith, il quale non decide in solitudine, rimuginando, se l’orizzonte del nichilismo è l’ultima parola sul mondo, ma lo verifica coinvolgendo il Professor Eams; cioè catapultandosi nella realtà del rapporto con quell’uomo (che pure è suo avversario). Se il Professore sarà disposto a morire, per dimostrare che la vita dell’uomo è nulla, allora anche Innocent si darà la morte. Ma, alla prova dei fatti, il confronto reale tra Eams e la morte dimostra ciò che anche Gabriel Syme ha scoperto, cioè che l’uomo – quando sta nudo di fronte all’esistenza – è una sentinella: ode una voce buona che proviene da ciò che esiste. La mucca c’è davvero e muggisce. Il Professor Eams avendo una pistola puntata alla tempia, improvvisamente si accorge della realtà e che l’esistente lo interpella:
«Mentre parlava spuntò il sole. E sembrò che infondesse il colore su ogni cosa, con la rapidità di un fulmineo artista volante. Una flottiglia di piccole nubi che navigava nel cielo mutò di colore passando dal grigio tortora al rosa. […] Attraverso un piccolo scorcio che si apriva tra una vecchia taverna di legno e l’imponente massa grigia del College, [il Professor Eams] poteva vedere un orologio dalle lancette dorate che il sole aveva incendiato di luce. Lo fissò ipnotizzato e d’improvviso l’orologio si mise a battere l’ora, come volesse rispondergli».
Per svegliarsi da un incubo bisogna cacciare un urlo, bisogna essere capaci di un gesto concreto e violento per aprire gli occhi. Le ombre sono solo ombre mute, mentre la luce del sole ci parla. E poiché il tempo di vita che ci è concesso sarà sempre un costante destreggiarsi tra buio e luce, è bene armarsi e trovare alleati valorosi.
Uscendo dalle tenebre del proprio incubo giovanile, Chesterton gridò a voce alta e in piena coscienza: Evviva! Perché la realtà è viva. Ed è un miracolo. Poi passò il resto tempo che trascorse su questa terra a lasciare ai suoi lettori testimonianze autentiche e ragionevoli della verità di queste parole scritte ne L’uomo che fu Giovedì:
«Il male è così malvagio da farci pensare che il bene sia solo un caso; ma il bene è così buono da darci la certezza che dev’esserci una spiegazione per il male».
GKC-Cecil-Chesterton


– Come promesso vi allego il pdf che raccoglie tutte e tre le parti di questo saggio. Lo metto qui sotto, e lo trovate anche nella barra di sinistra del blog sotto la foto dei Lettori cosmici. Il documento può circolare liberamente e gratuitamente, chiedo solo di rispettare il diritto d’autore, cioè di attribuire all’autrice la responsabilità … nel bene o nel male … delle parole scritte, se le riportate in citazioni o altro 
articolo tratto da ..  http://capriolecosmiche.com/tag/maschera/

venerdì 24 aprile 2015

Il prof. Enrico Bombieri, medaglia Fields: «la matematica rinforza la certezza di Dio»


Enrico Bombieri

Qualcuno farà fatica a crederci, ma il più importante matematico italiano non lo conosce nessuno. O, almeno, nessuno al di fuori del mondo scientifico. Il suo nome è Enrico Bombieri, l’unico italiano ad aver vinto la medaglia Fields, che corrisponde al Nobel dei matematici. Insegna presso l’università di Princeton, negli Stati Uniti.
L’ottimo Francesco Agnoli ha recentemente intervistato il prestigioso matematico, il quale ha riflettuto a lungo sul rapporto tra scienza e metafisica, spiegando: «Per me la matematica è un modello della verità sia pure un modello assai ristretto da chiare regole di consistenza, che ci dice che una Verità assoluta (con la V maiuscola) deve esistere anche se non possiamo comprenderla». E ancora: «Cercare di giustificare l’esistenza di Dio con la matematica mi rammenta la storia che si racconta di sant’Agostino ancor che, passeggiando in riva al mare meditando sul mistero della Trinità, vide un fanciullo con un piccolo cucchiaio con il quale raccoglieva l’acqua del mare e la versava con cura nel suo secchiello. Sant’Agostino chiese: ‘Bimbo, cosa stai facendo?’ e il fanciullo rispose: ‘Sto contando quanta acqua c’è nel mare’. ‘Ma questo e impossibile!’, replicò sant’Agostino. E il fanciullo: ‘Comprendere il mistero della Trinità è più difficile’. La matematica, che è la scienza della verità logica, certamente ci aiuta a comprendere le cose ed è naturale per un matematico che crede in Dio, qualunque sia la sua denominazione, di riconciliare il concetto dell’esistenza di Dio con la sia pure limitata verità che proviene dalla matematica».
«Per me», ha proseguito il prof. Bombieri, «è sufficiente il Metastasio, quando dice: ‘Ovunque il guardo giro, immenso Dio ti vedo’. Guardare l’universo, nel nostro piccolo, nel grande al limite dell’incomprensibile, e anche nell’astratto della matematica, mi basta per giustificare Dio». D’altra parte, «il Big Bang dell’astrofisica moderna non solo ci fa pensare alla creazione biblica, ci dice anche che il tempo è stato creato insieme all’universo, un concetto che risale alla metafisica di sant’Agostino. La matematica è essenziale per dare consistenza a tutto questo, ma da sola non basta per dire che questa visione dell’origine dell’universo stellato di Kant sia esatta al 100 per cento».
Il celebre matematico ha anche voluto ricordare il suo maestro, il grande matematico Ennio De Giorgi«Alcuni poveri che De Giorgi cercava di aiutare con assiduità, avevano imparato i suoi orari e si facevano trovare quando arrivava in piazza dei Cavalieri ai piedi della scalinata che porta all’ingresso della Scuola Normale. Lui aveva sempre qualcosa da dare loro, senza farlo mai pesare, senza avere mai un gesto di insofferenza o, ancora meno, di fastidio. E io rimanevo colpito da questi slanci di generosità e mi sembrava che davvero la bontà di Dio si manifestasse in lui in modo sublime».«Pascal e De Giorgi», ha proseguito Bombieri, «avevano compreso che Dio non è solo un Dio platonico, astratto, geometrico, aritmetico, o semplicemente creatore di un universo lasciato a se stesso. Essi avevano la visione di un Dio che è più difficile da comprendere, un Dio che è fatto non solo di potenza ma anche di amore infinito. Solamente così diventa possibile, con umiltà, accettare il concetto cristiano della Redenzione».
L’intervista è complessivamente molto bella e vale la pena leggerla integralmente, noi abbiamo preso soltanto alcune citazioni. Interessante, ad esempio, il commento del prof. Bombieri ai versi di Dante, poeta da lui molto amato («Dante è un profondo conoscitore dell’animo umano e ci presenta come il mondo della natura, il mondo delle forze che guidano la vita umana, e il mondo trascendente che appartiene a Dio, sono intrecciati tra loro», ha detto), così come la riflessione sul bene e sul male e sulla loro esistenza nel mondo matematico. C’è anche spazio ad un commento al discorso di Benedetto XVI sulla matematica dell’aprile 2006. Bombieri ha detto: «La consistenza matematica del nostro universo è certamente una ragione per vedere il Dio creatore dell’universo, come ben espresso dal papa Benedetto XVI nel suo discorso. Tuttavia, c’è qualcosa di più. La matematica astratta, in quanto coerente scienza della verità logica, ci rinforza nella certezza della verità assoluta che è Dio. Dio è Creatore, Amore infinito, e Verità infinita».
Il piccolo divulgatore scientifico creato dal mondo mediatico, Piergiorgio Odifreddi, si lagnava nel suo libro “Perché Dio non esiste” (Aliberti 2010)scrivendo«Carlo Rubbia mi pare che sia cattolico. Enrico Bombieri, medaglia Fields, è cattolico e va a messa» (p. 122). La profondità delle riflessioni del vincitore italiano della medaglia Fields, apprezzata anche in questa intervista, è certamente il motivo per cui il frivolo mondo mediatico preferisce purtroppo dare spazio soltanto a pseudo-intellettuali, armati di tesi superficiali e banali provocazioni. Questa intervista è stata una apprezzatissima eccezione.

Fatima: il “grande segno nel cielo” prima della guerra fu una vera profezia?


Ci sono alcune incredibili coincidenze temporali (o profezie) legate alle apparizioni di Fatima. Si fatica molto a parlare di “coincidenze” prendendole singolarmente, diventa quasi impossibile se vengono considerate tutte assieme. Ad aggiungersi agli eventi già descritti c’è anche una vicenda, forse meno evidente, legata ad un “grande segno”, una “grande luce”, come venne riportato dai veggenti durante le apparizioni del 13 maggio -13 ottobre 1917: «quando vedrete una notte illuminata dauna luce sconosciuta, sappiate che è il grande segno che Dio vi dà che sta per castigare il mondo per i suoi crimini, per mezzo della guerra, della fame e delle persecuzioni alla Chiesa e al Santo Padre»Come spiega Francesco Agnoli, per “castigo al mondo” si intende che Dio lascerà l’uomo in balia di se stesso e della sua cattiveria: non c’è peggior castigo di quello che noi uomini spesso siamo così bravi ad infliggerci, da soli. Nelle apparizioni portoghesi la Madonna dichiarò anche che sotto il pontificato di Pio XI, se gli uomini non si fossero convertiti, sarebbe scoppiataun’altra guerra mondiale, più spaventosa della prima, annunciata da una “notte illuminata da una luce sconosciuta”.  Il 25 gennaio 1938,effettivamente, il cielo di tutta Europa fu illuminato in modo eccezionale: si verificò una grandiosa Aurora boreale, evento straordinario alle latitudini dell’Europa meridionale; in Italia fu visibile in Piemonte, in particolar modo, e si vide addirittura sino a Napoli. La stampa la descrisse per diversi giorni. Per Lucia, fù il segno preannunciato dalla Santa Madre; l’antefatto della II guerra mondiale. Tuttavia mise per iscritto questa profezia soltanto il 31 agosto 1941 in una lettera al vescovo di Leira-Fatima. Per questo molti hanno legittimamente parlato di una profezia post eventum. Tuttavia vi sono nelle vicende di Fatima, due fatti che rendono attendibile credere a questa profezia (anche se venne messa per iscritto dopo l’evento).
Il primo: è un altro segno celeste, annunciato nel 1917, che si verificò proprio in quell’anno. In un Portogallo, allora in mano ad un governo anticlericale, la piccola Lucia sfidò il mondo: «la Madonna», disse, «darà un segno». Convocò tutti per il 13 ottobre 1917 alla Cova da Iriapur capendo bene che se il segno non ci fosse stato, sarebbe stato un gran problema per l’attendibilità e la credibilità. Migliaia e migliaia di persone si radunarono nella Cova, i quotidiani di allora parlano di 40-50 mila persone. Diversi giornalisti, testimoni oculari, hanno scritto articoli su questo evento, compreso un tale Avelino de Almedia, redattore capo di “O Sèculo”, quotidiano socialista di Lisbona, di orientamento positivista e anticlericale, che in precedenza aveva ridicolizzato gli eventi di Fatima. Costui, sul numero del 15 ottobre 1917,  scrisse: «Cose fenomenali. Come il sole ballò a mezzogiorno a Fatima […]. L’ora mattutina è la regola per questa moltitudine, che calcoli imparziali di persone colte e di tutto rispetto, punto rapite come per influenza mistica, contano in trenta o quaranta mila creature… E si assiste a uno spettacolo unico e incredibile per chi non fu testimone di esso. Dalla cima della strada, dove si ammassano i carri e sostano molte centinaia di persone, alle quali manca la voglia di mettersi nella terra fangosa, si vede tutta l’immensa moltitudine voltarsi verso il sole, che si mostra libero dalle nuvole, nello zenit. L’astro sembra un disco di argento scuro ed è possibile fissarlo senza il minimo sforzo. Non brucia, non acceca. Si direbbe realizzarsi un’eclissi. Ma ecco che un grido colossale si alza, e dagli spettatori che si trovano più vicini si ode gridare: “Miracolo, Miracolo! Meraviglia, meraviglia». Il sole tremò ed ebbe mai visti movimenti bruschi fuori da tutte le leggi cosmiche. Come poteva una pastorella riuscire a prevedere un fenomeno astrofisico di questa rarità e di tal portata? Ovviamente c’è la libertà, anche in questo caso, di parlare di ennesima incredibile coincidenza.
Il secondo: abbiamo detto che Lucia mise per iscritto soltanto il 31 agosto 1941 la profezia sulla “notte illuminata da una luce sconosciuta”, antefatto dei crimini commessi dalla Russia:  sarà la Russia, non la Germania, “a spargere i suoi errori nel mondo”“promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa”. Nel 1941 sarebbe stato veramente più opportuno e intelligente, annunciare il pericolo nazionalsocialista, o comunque entrambi, quello comunista sovietico e quello nazista. Infatti la Germania sembrava trionfante: possedeva tutta l’Europa, esclusa la Gran Bretagna; gli Usa non erano ancora entrati in guerra e l’Urss  appariva destinato alla sconfitta, sotto il tallone tedesco, da un momento all’altro. Ed invece pochi anni dopo il “Reich millenario” crollò miseramente e la Russia non solo vinse la guerra, ma  si vide “regalare” dagli alleati mezza Europa. Il comunismo conobbe così una diffusione immensa, inimmaginabile, tanto più se ricordiamo che nel 1949 anche la Cina sarebbe divenuta comunista. Dovunque i comunisti arrivarono, dalla Polonia all’Albania, la Chiesa fu attaccata, perseguitata, distrutta. Occorre anche dire che in una  lettera a Pio XII, datata24 ottobre 1940 (cioè prima dell’entrata nella seconda guerra mondiale della Russia), Lucia ri-domandava la Consacrazione della Russia stessa, considerata, anche in quella data per certi versi insignificante, il pericolo imminente, come infatti divenne. Queste non sono profezie post-eventum.
Essendoci dunque stati due fatti a dimostrazione della capacità profetica delle parole dei veggenti di Fatima, torniamo all’aurora boreale del 25-26 gennaio 1938. I quotidiani di allora, come “La Stampa” del 26 gennaio, intervistando noti astrofisici, parlarono di evento “eccezionale”, “rarissimo” e “visibile in tutta Europa”.  Lucia ritenne che si trattasse del segno premonitore indicato dalla Madonna. Proprio la sera del 25 gennaio Hitler ricevette il barone Werner Fritsch, generale e comandante in capo della Reichwehr, assai critico dei guerra hitleriani, e lo fece uscire dal ministero della guerra a causa di uno scandalo. Fu questo un evento preliminare alla guerra (Antonio Spinosa, “Hitler”, Mondadori, Milano, 1991, p. 240-241). Occorre anche ricordare che la sera del 23 agosto 1939 in alcune zone della Germania, fu segnalata un altro fenomeno di luce molto raro e proprio quella notte avvenne il patto von Ribbentrop-Molotov, cioè la spartizione della Polonia e di altre zone di influenza tra Hitler e Stalin. La II guerra mondiale nacque in questo momento.
Il gerarca nazista Albert Speer nelle sue “Memorie del Terzo Reich” scrive: «Quella notte ci intrattenemmo con Hitler sulla terrazza del Berghof ad ammirare un raro fenomeno celeste: per un’ora circa, un’intensa aurora boreale illuminò di luce rossa il leggendario Untersberg che ci stava di fronte, mentre la volta del cielo era una tavolozza di tutti i colori dell’arcobaleno […]. Lo spettacolo produsse nelle nostre menti una profonda inquietudine. Di colpo, rivolto a uno dei suoi consiglieri militari, Hitler disse: ‘Fa pensare a molto sangue. Questa volta non potremmo fare a meno di usare la forza’”.  Un altro gerarca nazista presente alla scena, Nicolaus von Below, ricorderà di essere stato intimorito da quella luce, e di aver detto a Hitler che forse era il presagio di un’imminente guerra sanguinosa. «Se così dev’essere, allora che sia più veloce possibile» replicò Hitler” (cit. in Timothy W. Ryback, “La biblioteca di Hitler”, Mondadori, Milano, 2008, p. 148-149). Tutto questo suor Lucia, chiusa nel suo convento in Portogallo, non poteva certamente saperlo.
Livia Carandente e Luca Pavani

giovedì 9 aprile 2015

Concorso poesia - festa di San Giuseppe 2015


3° premio - Gaia Giardi - Concorso poesia - festa di San Giuseppe 2015

Sentimenti espressi con tenerezza

Concorso poesia - festa di San Giuseppe 2015


2° premio - Virginia Razzai - Concorso poesia - festa di San Giuseppe 2015

Ha saputo esprimere con semplicità ed efficacia i suoi sentimenti

Concorso poesia - festa di San Giuseppe 2015


1° premio - Lorenzo Formichini - Concorso poesia - festa di San Giuseppe 2015

Per la sua originalità ..

Concorso poesia - festa di San Giuseppe 2015



Concorso poesia in occasione della festa di San Giuseppe 2015 - 4° premio - Marco Toci

Breve, semplice e .. intensa!!!

Concorso poesia - festa di San Giuseppe 2015



2° premio - Slavi Mazzone - Concorso poesia - festa di San Giuseppe 2015 -La nonna

Se non ci fossero le nonne!! Che bello aver pensato a lei!!

Concorso poesia - festa di San Giuseppe 2015


1° premio - Sofia e Greta Pasquini - Concorso poesia in occasione della Festa di San Giuseppe

Briosa, allegra, con aggettivi che rendono l'immagine

Concorso poesia - festa di San Giuseppe 2014


Concorso di poesia - Poesia di Chiara Parigi -  Primo premio Festa san Giuseppe 2014 a pari merito

Concorso poesia - festa di San Giuseppe 2014


Primo premio vinto da Maria Vittoria Braschi - 19 Marzo 2014

sabato 21 marzo 2015

I cinque difetti di Gesù per il card. François-Xavier Nguyen Van Thuan


Chi è il Cristo che mi viene incontro?
Nella Sacra Scrittura preghiamo spesso con il Salmi sta: "Fa' splendere il Tuo volto" (Sal 80,4) o "Cerco il Tuo volto" (Sal 27,8). E questo senza fine, fino al giorno in cui potremo vedere Cristo faccia a faccia.
Un giorno i carceri eri mi hanno domandato: "Chi è Gesù Cristo? Perché tu soffri per Lui?" Anche i giovani mi hanno spesso chiesto: "Chi è Gesù Cristo per Lei e come mai ha lasciato tutto per Lui? Lei poteva avere casa, famiglia, beni, un buon avvenire e ha lasciato tutto per seguire Gesù; Chi è dunque Gesù nella sua vita?"
È difficile dire le qualità di Dio: sono trascendenti. Egli è onnipotente, onnisciente, onnipresente... Mi sembra più facile dire i difetti di Gesù. Alcuni di voi avete forse sentito parlare dei cinque difetti di Gesù, di cui ho trattato negli esercizi spirituali alla Curia romana. Alcuni Cardinali e Vescovi dopo questa meditazione mi hanno chiesto dove fossero gli altri difetti. Oggi, se volete, vi dico anche gli altri. l cinque difetti di cui avevo parlato alla Curia erano:
Gesù non ha buona memoria, perché sulla Croce il buon ladrone gli chiede di ricordarsi di lui in Paradiso e Gesù non risponde come avrei fatto io "fa' prima venti anni di purgatorio", ma dice subito di sì: "Oggi tu sarai con me in paradiso" (Lc 23,43).
Con la Maddalena fa la stessa cosa, e ugualmente con Zaccheo, con Matteo ecc. "Oggi la salvezza entra in questa casa" (Lc 19,9), dice a Zaccheo. Gesù perdona e non ricorda che ha perdonato. Questo è il suo primo difetto.
Il secondo difetto è che Gesù non conosce la matematica: un pastore ha cento pecore. Una si è smarrita: lascia le novantanove per andare a cercare quella smarrita e quando la incontra la porta sulle spalle per tornare all'ovile (Mt 18, 12). Se Gesù si presentasse all'esame di matematica sarebbe certamente bocciato, perché per lui uno è uguale a novantanove.
Il terzo difetto di Gesù è che non conosce la logica: una donna ha perduto una dracma. Accende la luce per cercare in tutta la casa la dracma perduta e quando l' ha trovata va a svegliare le amiche per festeggiare con loro (Lc 15, 8). Si vede che è veramente illogico il suo comportamento, perché sapendo che la dracma era comunque in casa, avrebbe potuto aspettare la mattina seguente e dormire. Invece cerca subito, senza perdere tempo, di notte. D'altra parte, svegliare le amiche non è meno illogico. Anche la causa per cui festeggiare l'aver trovato una dracma - non è poi tanto logico. Infine, per festeggiare una dracma ritrovata dovrà spendere più di dieci dracme...
Gesù fa lo stesso: in cielo il Padre, gli angeli e i santi hanno più gioia per un peccatore che si converte, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza.
Il quarto difetto è che Gesù sembra essere un avventuriero: di solito un politico alle elezioni fa propaganda e promesse: la benzina costerà meno, le pensioni saranno più alte, ci sarà lavoro per tutti, non ci sarà più inflazione... Gesù, invece, chiamando gli apostoli, dice: "Chi vuoi venire dopo di me, lasci tutto, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24). Seguirlo, dunque, per andare dove? Gli uccelli hanno un nido, le volpi una tana, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo... Seguire Gesù è un'avventura: fino all'estremità della terra, senza auto, senza cavallo, senza oro, senza mezzi, senza bastone, unicamente con la fede in Lui.
Non vi sembra che sia proprio un avventuriero? Eppure, da venti secoli siamo ancora in molti ad entrare nell'associazione dei suoi avventurieri, come Lui, con Lui.

Il quinto difetto di Gesù è che non conosce l'economia e la finanza, perché va a cercare quelli che lavorano alle tre e alle sei e alle nove e paga gli ultimi come i primi (Mt 20, 1ss).
Se Gesù fosse economo di una comunità o direttore di una banca, farebbe bancarotta, perché paga chi lavora meno come chi ha fatto tutto il lavoro.

Gioia dell'incontro con Gesù

Scoprite la gioia della speranza
L'ultimo ritiro spirituale predicato dal Card. Van Thuan

Cari Amici, Fratelli carissimi nella grazia del battesimo e del sacerdozio! Innanzitutto i miei cordialissimi saluti e auguri di amore e di pace.
A quale scopo sono venuto proprio qui, in questi giorni? La risposta è semplice: sono venuto per la nostra santificazione, che è la cosa più urgente che il Signore vuole da noi sacerdoti per il nuovo millennio: "Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione" (1Ts 4,3). Come sapete la lettera da cui è tratta questa frase, indirizzata ai cristiani di Tessalonica, è il più antico scritto cristiano. L'apostolo Paolo sin dall'inizio ha voluto dire la cosa più importante e necessaria, e continua a ripetercela oggi. Come articolerò questo incontro con voi?
Vorrei meditare con voi sulle Gioie dei testimoni della speranza.
L'incontro con Cristo nella mia vita.
Il primo punto della mia prima tappa parte da un testo di Matteo: "Se vuoi essere perfetto, va, vendi i tuoi beni e seguimi" (Mt 19,21). È il messaggio di Giovanni Paolo II ai giovani di Tor Vergata: "Non abbiate paura di essere i santi del nuovo millennio" (18 Agosto 2000). A voi sacerdoti qui adunati voglio dire analogamente: non abbiate paura di essere i sacerdoti santi del nuovo millennio!
Vorrei iniziare questa riflessione sulla chiamata alla santità da un esame di coscienza molto personale: nella mia vita, e anche adesso da cardinale, ho avuto ed ho paura delle esigenze del Vangelo: ho paura della santità, di essere santo. Mi piacciono le mezze misure. Invece Cristo mi richiama ogni minuto ad amare Dio con tutto il mio cuore, con tutta l'anima, con tutte le mie forze, con tutto me stesso. Ogni giorno io ho vissuto momenti come quelli del giovane nel Vangelo che se ne va triste perché ha molti beni.
Nella mia vita ho molto predicato, a ogni categoria di persone, ma talvolta non ho osato chiedere la santità. Ho parlato della gioia, della speranza, dell'impegno, ma ho avuto paura di parlare della santità, come se fosse qualcosa che la gente non può comprendere o accettare come possibile. Ho sottovalutato la buona volontà della gente e la forza della grazia del Signore.
Io sono stato in prigione più di tredici anni: ho avuto momenti duri, anche molto duri. Tante volte non ho osato pensare alla santità: ho voluto essere fedele alla Chiesa, non rinnegare nulla della mia scelta. Ma non ho pensato sufficientemente ad essere santo, mentre Cristo in verità ha detto: "Siate perfetti come il Padre vostro è perfetto" (Mt 5,48).

Lo scorso anno sono stato operato per l'asportazione - almeno parziale - di un tumore. Mi hanno tolto due chili e mezzo del tumore: sono rimasti nel mio ventre quattro chili e mezzo, che non possono essere asportati. Ed io ho avuto paura di essere santo con tutto questo: questa è stata la mia sofferenza. Essa però è durata solo fino al momento in cui ho visto la volontà di Dio in quanto mi succedeva ed ho accettato di portare questo peso fino alla morte, e di conseguenza di non poter dormire che un'ora e mezza ogni notte. Accettando questo, sono ora nella pace: nella sua volontà è la mia pace! Fino a quando Dio vorrà, vorrò essere come Lui vorrà da me, per me!

domenica 15 marzo 2015

La Ballata del Cavallo bianco

"... tra molti secoli, tristi e lenti,
– io ho una visione – io so
che i pagani ritorneranno.
Essi non verranno su navi da guerra,
non devasteranno col fuoco,
ma i libri saranno il loro unico cibo,
e con le mani impugneranno l'inchiostro.
Non con lo spirito dei cacciatori
o con la feroce destrezza del guerriero,
ma mettendo a posto ogni cosa con parole morte,
ridurrano le bestie e gli uccelli a burattini
ed il vento e le stelle ad una ruota che gira.
Avranno l'aspetto mite dei monaci,
pieni di fogli e di penne;
e voi guarderete alle vostre spalle ammirando
e desiderando un giorno come quelli di Alfred,
in cui, almeno, i pagani erano uomini.
Il caro sole rimpicciolito tra soli spaventosi,
come fiori superbi sul loro stelo,
la terra smarrita e piccola come un chicco,
tra le selve immense del cielo profondo,
– queste saranno le piccole erbacce che vedrete
strisciare, coprendo il gesso.
Ma se anche calpesteranno il mare santo di Maria,
e ruberanno le ali di San Michele –
se anche racconteranno meraviglie,
più grandi di quelle che Virgilio
creò per l'imperatore romano;
voi li riconoscerete da questi segni:
lo spezzarsi della spada,
e l'uomo che non è più un cavaliere libero,
capace di amare o di odiare il suo signore.
Sì, questo sarà il loro segno:
il segno del fuoco che si spegne,
e l'Uomo trasformato in uno sciocco,
che non sa chi è il suo signore.
Anche se arriveranno con carta e penna
e avranno l'aspetto serio e pulito dei chierici,
da questo segno li riconoscerete,
dalla rovina e dal buio che portano;
da masse di uomini devoti al Nulla,
diventati schiavi senza un padrone,
da un cieco e remissivo mondo idiota,
troppo cieco per essere disprezzato;
dal terrore e da storie crudeli
di una macchia segnata nelle ossa e nella stirpe,
dalla vittoria dell'ignavia e della superstizione,
maledette fin dal principio,
dalla presenza di peccatori,
che negano l'esistenza del peccato;
da questa rovina silenziosa,
dalla vita considerata una pozza di fango,
da un cuore spezzato nel seno del mondo,
dal desiderio che si spegne nel mondo;
dall'onta scesa su Dio e sull'uomo,
dalla morte e dalla vita rese un nulla,
riconoscerete gli antichi barbari,
saprete che i barbari sono tornati.
Quando si fa un gran parlare di moda e correnti,
e di saggezza e destino,
date il benvenuto all'idolatria che non muore,
che è più triste del mare.
Come gli uomini potranno sconfiggerla,
o se la Croce si innalzerà di nuovo
con la carità o con la cavalleria,
la mia visione non lo dice; e io non vedo altro;
ma ora, pur nel dubbio, cavalco
verso la battaglia sulla pianura." (pp. 133-134-135, 2011) G.K. Chesterton