sabato 7 gennaio 2017

LA VERA STORIA DI BRAVEHEART E' PIU' BELLA DEL FILM

LA VERA STORIA DI BRAVEHEART E' PIU' BELLA DEL FILM
Il personaggio interpretato da Mel Gibson era un cattolico fervente, pregava con i salmi ogni giorno e alla sua morte un sacerdote vede la sua anima accolta in cielo dagli angeli
di Paolo Gulisano

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Epico, imperdibile, emozionante... È lunga la lista dei sinonimi per Braveheart (Cuore impavido) il film del 1995 diretto e interpretato da Mel Gibson. Un omaggio all'eroe nazionale scozzese William Wallace (1270-1305) il condottiero che guidò i suoi connazionali alla ribellione contro l'occupazione inglese. Chi non ricorda l'arringa prima della battaglia: «Certo, chi combatte può morire.. chi fugge resta vivo, almeno per un po'... agonizzanti in un letto, fra molti anni da adesso, siete sicuri che non sognerete di barattare, tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi, per avere un'occasione, solo un'altra occasione, di tornare qui sul campo a urlare ai nostri nemici, che possono toglierci la vita; ma non ci toglieranno mai... la libertà!»
Peccato che il film incappi nel falso storico dello "Ius primae noctis", il mito (inventato da uno scozzese nel 1526) secondo cui nel Medioevo i feudatari avevano il diritto di portarsi a letto le spose dei loro sudditi nella prima notte di matrimonio [leggi: LO "IUS PRIMAE NOCTIS" E' UN FALSO STORICO,clicca qui
 N.d.BB].

LA FERVIDA FEDE CATTOLICA DI WALLACE
E un altro dettaglio trascurato è la «fervida fede cattolica» di Wallace come ha sottolineato l'Associazione Tradizione Famiglia Proprietà che dopo studi e ricerche in Scozia, ha ricostruito la biografia del nostro eroe: «William nasce nel 1270, secondo figlio di Sir Malcolm Wallace. Avviato alla vita ecclesiastica, egli riceve un'accurata educazione presso gli Agostiniani e i Benedettini, in Scozia e a Roma. Oltre alla madrelingua, il gaelico, parlava correntemente l'inglese, il latino, il francese e il tedesco. Sua madre, una donna molto devota, gli regala un Salterio, che egli pregherà ogni giorno della sua vita. Sin da piccolo, William faceva frequenti pellegrinaggi. Sono documentate le sue visite ai santuari di Dumfernline, Stirling e Strathaven. La tradizione vuole che egli abbia intrapreso il noviziato presso i Benedettini. Un fatto di sangue sconvolgerà la sua vita, facendogli abbandonare la vocazione religiosa e proiettandolo invece nell'occhio del ciclone degli avvenimenti politici. Nel 1292 una pattuglia inglese al comando di sir John Fenwick scova e uccide a sangue freddo suo padre e suo fratello maggiore, colpevoli di rifiutare il giuramento a Edoardo I d'Inghilterra e di sostenere, invece, la causa del Re scozzese John Balliol. Poco tempo dopo, William si scontra con un gruppo di soldati inglesi uccidendone due e ferendone quattro. Ricercato dalle forze dell'ordine, egli ripara in Dundee, dove si batte a duello e uccide il figlio del governatore anglofilo della città, tale Selby.

NIENTE KILT
Braccato dai soldati, William si dà alla macchia con un manipolo di seguaci. Il futuro eroe non indossava il kilt, come nel film di Mel Gibson, bensì un abito religioso, sotto il quale portava la maglia di ferro. Sotto la tonaca nascondeva la sua lunga spada. In queste vesti, metà monaco e metà guerriero, egli percorre le Highlands, ricevendo ad ogni passo l'appoggio dei contadini, che lo incitano a mettersi a capo di una rivolta nazionale. Anche gli Agostiniani, i Benedettini e perfino il vescovo di Glasgow lo esortano in questo senso. Egli comincia ad essere acclamato come uomo provvidenziale. Il 1° luglio 1297 Edoardo I invita i nobili scozzesi a firmare un accordo di pace, garantendo personalmente la loro incolumità. Giunti al luogo dell'incontro, però, vengono massacrati a sangue freddo. Quel giorno sparisce il fior fiore dell'aristocrazia scozzese. Anche William doveva partecipare all'incontro, ma a sorpresa sceglie di non presentarsi. Si diffonde la voce che egli si sia fermato per ragioni misteriose in una chiesa per pregare, e che sant'Andrea, patrono della Scozia, gli sia apparso avvertendolo delle macchinazioni di Edoardo. A questo punto scoppia la ribellione contro l'invasore inglese.

MUORE SVENTRATO MENTRE PREGA CON I SALMI PENITENZIALI
Seguono la decisiva vittoria del Ponte di Stirling (11 settembre 1297), e la non meno decisiva sconfitta di Falkirk (22 luglio 1298). Sir William, nel frattempo nominato Lord Guardian of Scotland, parte alla volta di Roma, dove ottiene da Papa Bonifacio VIII una bolla (27 luglio 1299) che esorta Edoardo I a lasciare la Scozia. Nonostante queste mosse, uno dopo l'altro tutti i nobili scozzesi prestano giuramento a Edoardo, lasciando William Wallace completamente isolato. Tradito da uno dei suoi, il 22 agosto 1305 Wallace è processato a Westminster Hall, Londra, e condannato a morte. Sul patibolo, egli si confessa con l'arcivescovo di Canterbury e chiede, come ultimo desiderio, di poter pregare il Salterio. Muore sventrato mentre recita i Salmi penitenziali. Un sacerdote inglese, presente all'esecuzione, affermerà più tardi di aver visto la sua anima accolta in Cielo da una schiera di angeli. Fatto o leggenda, questa visione di Braveheart portato in Cielo dagli angeli sarà un tema ricorrente nei sermoni per molti anni».

LA STORIA VERA È ANCORA PIÙ BELLA
La storia vera è insomma ancora più bella del film. Come è stato fatto notare: «Nel 1320, pochi anni dopo la vittoria di Robert Bruce, che aveva assicurato finalmente l'indipendenza al paese, davanti alla costante minaccia inglese, i nobili di Scozia, capi dei clan, rappresentanti del popolo di Scozia, si radunarono in un'abbazia benedettina, ad Arbroath, e stesero un manifesto che è un inno alla libertà e che non ha niente da invidiare alle moderne dichiarazioni dei diritti degli uomini tanto decantate. Questo manifesto era una lettera che gli scozzesi scrissero al Papa, firmandosi "la comunità di Scozia", quindi non facendo appello a Stato o nazione, ma alla comunità, chiedendo di essere lasciati liberi e di poter vivere in pace in virtù della loro dignità di battezzati. "In verità non è per la gloria, non per le ricchezze, non per gli onori che noi combattiamo, ma per la libertà, per quella sola a cui nessun uomo retto rinuncerebbe anche a prezzo della vita stessa...". Questo commovente manifesto si fondava dunque unicamente sul diritto a essere liberi per il fatto di essere cristiani, per la dignità che viene dal battesimo. Il Papa scrisse al re d'Inghilterra dicendo di lasciar stare gli scozzesi, e la Scozia poté godere di quel periodo di fioritura in pace che diede una civiltà di monasteri, di castelli, di università».

Verità su Enrique Gorostieta Velarde - Generale dei Cristeros



Uno scoop: La verità su Enrique Gorostieta Velarde






Il mio viaggio in Messico mi ha dato l’opportunità di approfondire una scoperta storica interessante su un personaggio che mi è particolarmente caro. Si tratta del Generale Enrique Gorostieta Velarde, il comandante dell’Esercito cristero.
La vulgata, fomentata anche dagli avversari, ha sempre voluto presentare il Generale come un ateo mercenario. A me questa immagine, in realtà, non ha mai convinto. Ora abbiamo le prove che non era così. Sono venuto a conoscenza di alcune lettere inedite inviate da Gorostieta alla moglie Tula, da cui si ricava inequivocabilmente che il Generale era un cristiano, convinto e praticante, e  che a muoverlo non era il soldo del militare, ma quella che nelle lettere alla moglie definisce espressamente la sua «fé ciega en Dios».
L’epitaffio sulla sua tomba al Panteon Español di Città del Messico, che io ho avuto l’onore di visitare, è inequivocabile. Nella parte finale recita: «Fue cristiano, patriota, militar y caballero. Tuvo un ideal en su vida y por él supo morir: Dios, Patria y Libertad». Prima di tutto «cristiano», e i suoi soldati lo sapevano bene.
Ho intenzione di pubblicare queste lettere inedite di Gorostieta una volta conclusa la traduzione, perché ritengo sia doveroso togliere definitivamente qualunque ombra sulle motivazioni che spinsero il Generale a combattere, e per mostrare al mondo la sua autentica ed incrollabile fede cattolica.
Oggi desidero pubblicare, come scoop in assoluta anteprima, la prima di queste lettere, scritta esattamente novanta anni fa, il 22 dicembre 1926, quando Gorostieta, lontano da casa, scriveva alla moglie rammaricandosi di non poter trascorrere il Natale in famiglia, avendo scelto il cammino impervio e ostico della lotta per la libertà della fede cristiana. E’ la lettera commovente di un uomo davvero innamorato di sua moglie e della sua famiglia.
  
Gianfranco Amato




«Mia amata,
Questa lettera sarà il tuo regalo di Natale e quello dei nostri figli. Non potendo trascorrerlo con Voi e non potendo rendermi utile per la tradizionale Festa, non mi resta che ricorrere a questo mezzo per farmi sentire da te e da loro.
La parola scritta dovrebbe servire ad esprimere ciò che pensiamo, ma limita la gioia di poterlo fare davvero. Quanti pensieri si affastellano nella mente che se esternati sarebbero luminosi ma che espressi inadeguatamente risultano solo nebulosi, oscuri e incomprensibili! Che posso fare se non tentare di farti giungere attraverso questa lettera, come meglio mi riesce, qualcosa di quello che serbo nel mio cuore? Ascolta, il tuo regalo di Natale è questa confessione che ti faccio: prima di conoscerti per la seconda volta, ossia quando solo e isolato pensavo a te, ti ho sempre riservato un posto speciale nel mio cuore accanto a quel poco di bene del tanto bene che Dio mi ha donato, e che mi restava. Il tuo ricordo palpitava con le mie uniche speranze e i miei unici aneliti, e fui sempre casto per te e solo per te. Più tardi, ti ho incontrato e ho realizzato i miei sogni, e quando hai accettato il mio affetto, ti ho posta al centro della mia vita.
Benedetta è la nostra unione sulla terra, e al tuo amore mi sono totalmente consacrato al punto che nemmeno una piccola ombra nella mia anima ha mai potuto oscurare la luce dell’affetto che nutro per te, mogliettina mia. Benedetta, poi, è la nostra unione dall’Altissimo, con uno, due, tre, quattro angioletti, non solo perché sono stato fedele al tuo amore come unico della mia vita, ma anche perché il mio sentimento si è concretizzato nell’elevarti in maniera incommensurabile, rendendomi pieno di orgoglio e facendo di te la mia Regina, per la cui felicità darei tutto me stesso, il mio corpo e la mia anima.
Affinché questo mio amore, questo mio sentimento, questa mia venerazione non diminuiscano e siano sempre degni del tuo affetto, ho messo in atto tutti i miei sforzi per correggermi e perfezionarmi, e ho intensificato la mia disciplina morale al punto di poterti dichiarare (e questo è ciò che oggi ti dono come regalo) che il tuo sposo è un uomo casto, più ancora di quando lo era da fidanzato; che il tuo sposo ti ama più di quanto ti amava da fidanzato, e che oggi tuo marito ti venera, ti adora, ti ama, ti desidera e ti rispetta molto più, molto più di quando, ieri, tu accettavi il suo amore arrossendo come una fidanzatina di provincia e gli concedevi un “sì” che prometteva il paradiso.
Con questa confessione (il tuo regalo di Natale) abbi la certezza che continuerò su questa strada per essere degno delle tue virtù e delle tue grazie. Questo è per te, vita mia. Ai miei figli, a cui non posso dare un bacio, non posso comprare una palla, che non posso far addormentare tra le mie braccia, come ho fatto molte volte, in un giorno tanto grande per il mondo come è il Natale, in un giorno in cui persino le belve si inteneriscono ascoltando il Gloria, mando, attraverso te, come regalo questa considerazione: tutte le privazioni che loro soffrono, tutti i dolori che tu ed io soffriamo hanno uno scopo: insegnare loro un cammino, tracciare loro una rotta. Io so bene che ci sono cammini più facili nel mondo, e Dio sa bene come io conosca anche il modo di percorrerli. Ma non sono questi i cammini che io intraprenderò. Ai miei figli lascerò lo stesso cammino impervio e ostico che ha seguito il loro nonno. L’unico cammino che può rendere sempre un uomo contento di averlo percorso fino in fondo, e felice per averne alla fine compreso il significato. L’unico cammino che mentre si percorre può donare una vera pace.
Io dono ai miei figli come regalo le privazioni e i dolori che sto provando nel cammino che ho intrapreso. Dà loro un grande bacio da parte mia, e non stancarti mai di evitare – non dico ora ma in futuro – che perdano la fede in questo cammino.
Con tutto il mio amore ti bacio sulla bocca».

Uno scoop: La verità su Enrique Gorostieta