Lettera di J.J. Tolkien al figlio sulla 'caduta di Fede'
Il riferimento alla testimonianza di padre Francis il 'suo sacerdote', J.J.R. Tolkien
    ha sempre portato ai sacramenti cattolici ed è dinanzi ad essi che si domanda se
    è stato un buon padre:
    
"Tu parli di “caduta della fede”, tuttavia. Questa è tutta un’altra
    cosa. In ultima analisi, la fede è un atto di volontà, ispirato dall’amore.
    Il nostro amore può raffreddarsi e la nostra volontà può essere
    indebolita dallo spettacolo dei difetti, della follia e persino dei peccati della Chiesa e dei
    suoi ministri, ma non penso che chi una volta ha avuto fede la perda per questi motivi (meno
    che mai uno che possieda una conoscenza storica). Lo “scandalo” al massimo è
    occasione di tentazione – come l’indecenza lo è della brama, non la crea dal
    nulla, ma la fa manifestare. E’ comodo perché distoglie gli occhi da noi stessi e
    dalle nostre colpe e ci fornisce un capro espiatorio. Ma l’atto di volontà
    della fede non è l’unico momento di una decisione finale: è un atto
    permanente che si ripete, una situazione che deve durare – così noi preghiamo per
    la “perseveranza conclusiva”. La tentazione di “non credere” (che in
    realtà significa il rifiuto di Nostro Signore e delle Sue richieste) è sempre
    dentro di noi. Una parte di noi anela a trovare una scusa fuori di noi per mollare.
    Più forte è questa tentazione interiore più facilmente e più
    severamente saremo scandalizzati dagli altri. Penso di essere tanto sensibile quanto te (o
    qualsiasi altro cristiano) di fronte agli scandali, siano essi del clero che dei laici. Io
    ho sofferto dolorosamente nella mia vita a causa di preti stupidi, stanchi, ignoranti o persino
    cattivi; ma ora mi conosco abbastanza bene da sapere che non lascerò la Chiesa (che per
    me significherebbe lasciare l’alleanza con Nostro Signore) per una qualsiasi di queste
    ragioni: la lascerei se non credessi, e non crederei nemmeno se incontrassi qualche sacerdote
    saggio e santo. Negherei i Santi Sacramenti, cioè: definirei il Nostro Signore un
    imbroglio. Se Egli è un imbroglio e se lo sono anche i Vangeli – cioè:
    racconti distorti di un megalomane demente (che è l’unica alternativa), allora
    naturalmente lo spettacolo inscenato dalla Chiesa (nel senso dei sacerdoti) in passato e oggi
    è semplicemente la prova di una gigantesca frode. Ma se così non è, allora
    questo spettacolo è, ahimè! solo quello che ci si doveva aspettare:
    cominciò prima della prima Pasqua, e non deve influenzare la fede – tranne per
    il fatto che ci addolora profondamente. Ma noi dovremmo addolorarci per conto di Nostro
    Signore, associandoci agli scandalizzatori e non ai santi, senza gridare che non possiamo
    accettare Giuda Iscariota, o l’assurdo e codardo Simon Pietro o le sciocche donne simili
    alla madre di Giacomo che cerca di spingere suo figlio. Ci vuole un’incredibile dose di
    scetticismo per non credere che Gesù non sia veramente esistito, e ancora di più
    per non credere alle cose che gli vengono attribuite — è così
    improbabile che possano essere state inventate da qualsiasi altro al mondo, all’epoca:
    come per esempio: «prima di Abramo venne ad essere l’Io sono» (Giovanni,
    VIII). «Colui che ha visto me ha visto il Padre» (Giovanni, IX); oppure la
    promulgazione dei Santi Sacramenti in Giovanni, V: «Colui che mangerà la mia carne
    e berrà il mio sangue avrà vita eterna». Noi quindi dobbiamo credere in Lui
    e in quello che ha detto e assumercene le conseguenze; oppure rifiutarlo e assumercene le
    conseguenze. Io trovo difficile credere che chi abbia preso anche solo una volta la
    Comunione, consapevolmente, possa poi rifiutare di credere in Lui senza incorrere in una grave
    colpa. (Comunque, Lui solo conosce ogni anima e le circostanze in cui si trova.)
    
     L’unico rimedio contro il vacillare e l’indebolirsi della fede è la
    Comunione. Benché sia sempre lo stesso, perfetto e completo e inviolato, il Santo
    Sacramento non agisce completamente e una volta per tutte in ognuno di noi. Come
    l’atto di Fede deve essere ripetuto e così accresce la sua efficacia. La frequenza
    garantisce il massimo effetto. Sette volte alla settimana è più efficace che
    sette volte dopo lunghi intervalli. Inoltre ti raccomando questo esercizio (ahimè!
    è fin troppo facile trovare il modo di praticarlo): fa’ la tua Comunione in un
    ambiente che urti i tuoi sentimenti. Scegli un sacerdote che borbotta e tira su col naso oppure
    un frate orgoglioso e volgare; e una chiesa piena della solita folla borghese, bambini
    maleducati — da quelli che gridano a quei prodotti delle scuole cattoliche che nel
    momento in cui il tabernacolo viene aperto si siedono e sbadigliano — giovani sporchi e
    con le camicie sbottonate, donne in pantaloni e spesso con i capelli arruffati e senza velo.
    Vai a fare la Comunione insieme a loro (e prega per loro). Sarà la stessa cosa (o
    anche meglio) che assistere ad una messa detta splendidamente da un sant’uomo e ascoltata
    da poca gente devota e decorosa. (Non sarà mai peggio della confusione di quando
    Gesù nutrì i cinquemila - dopo di che annunciò quello che sarebbe stata la
    Comunione.)
    
     Io stesso sono convinto delle affermazioni di Pietro, né guardandosi intorno nel
    mondo sembrano esserci molti dubbi (se il cristianesimo è vero) su quale sia la vera
    Chiesa, il tempio dello spirito morto ma vivo, corrotto ma santo, che si rigenera e rivive. Non
    che uno debba dimenticare le sagge parole di Charles Williams, che è nostro dovere
    occuparci degli altari accreditati e stabiliti, benché lo Spirito Santo possa mandare il
    suo fuoco da altre parti. Dio non può essere limitato (nemmeno nell’ambito
    dell’edificio che ha fondato) – della qual cosa San Paolo è il primo esempio
    – e può usare qualsiasi canale attraverso il quale far arrivare la sua grazia.
    Persino amare Nostro Signore, e chiamarlo Signore e Dio, è una grazia e può
    portare altra grazia. Tuttavia, per non parlare solo di casi singoli, il canale principale deve
    essere quello istituzionale, altrimenti correrebbe il rischio di estinguersi nella sabbia.
    Oltre al Sole c’è la luce della Luna (che può essere tanto brillante da
    permettere di leggere); ma se il Sole scomparisse, non si riuscirebbe più a vedere la
    Luna. Che cosa ne sarebbe della cristianità oggi, se la Chiesa romana fosse stata
    distrutta?
    
     Ma per me quella Chiesa di cui il Papa è capo riconosciuto ha un merito maggiore,
    e cioè quello di aver sempre difeso il Santo Sacramento e di avergli reso sempre onore e
    di averlo messo (come Cristo voleva) al primo posto. “Nutrite le mie pecorelle” fu
    il Suo ultimo incarico a San Pietro; e dato che le Sue parole vanno sempre intese alla lettera,
    suppongo che fossero riferite principalmente al Pane della Vita. E’ stato contro
    questo che venne lanciata la prima rivolta dell’Europa occidentale (la Riforma) –
    contro “la favola blasfema della messa” – e le opere della fede sono state
    una falsa pista. Credo che la più grande riforma del nostro tempo sia quella portata
    avanti da san Pio X: superando tutto quello, di cui pur c’era bisogno, che il Concilio
    deciderà. Mi chiedo in che stato sarebbe la Chiesa se non fosse per quella Riforma.

 
    
    
     Ma io sono uno di quelli che è fuggito dall’Egitto e prego Dio che nessuno
    della mia stirpe debba ritornare là. Ho assistito (comprendendo solo a metà) alle
    eroiche sofferenze e alla morte precoce in grande povertà di mia madre che mi ha fatto
    entrare con sé nella Chiesa; e ho ricevuto lo straordinario aiuto di Francis Morgan.
    Ma mi sono innamorato dei Santi Sacramenti fin dall’inizio – e grazie a Dio non me
    ne sono mai allontanato: ma, ahimè!, non ho vissuto sempre alla loro altezza. Vi ho
    allevati male e vi ho parlato troppo poco. Per cattiverie e per pigrizia ho quasi smesso di
    praticare la mia religione – specialmente a Leeds, e al 22 di Northmoor Road. Non per
    me l’Abisso dei Cieli, ma la voce silenziosa del Tabernacolo e quella sensazione di fame
    implacabile. Mi rammarico amaramente di quei giorni (e ne soffro); soprattutto
    perché ho fallito come padre. Ora prego per voi tutti, senza soste, che il Salvatore
    (the Haelend, come il Redentore veniva chiamato in inglese antico) mi guarisca dei miei difetti
    e che nessuno di voi debba mai smettere di invocare Benedictus qui venit in nomine
    Domini.
Dalla lettera del
    1 novembre 1963 a Michael Tolkien, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere
    (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.380. 
 
 
 
          
      
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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