mercoledì 27 novembre 2013

Lettera di J.J. Tolkien al figlio sulla 'caduta di Fede'

Il riferimento alla testimonianza di padre Francis il 'suo sacerdote', J.J.R. Tolkien ha sempre portato ai sacramenti cattolici ed è dinanzi ad essi che si domanda se è stato un buon padre:
"Tu parli di “caduta della fede”, tuttavia. Questa è tutta un’altra cosa. In ultima analisi, la fede è un atto di volontà, ispirato dall’amore. Il nostro amore può raffreddarsi e la nostra volontà può essere indebolita dallo spettacolo dei difetti, della follia e persino dei peccati della Chiesa e dei suoi ministri, ma non penso che chi una volta ha avuto fede la perda per questi motivi (meno che mai uno che possieda una conoscenza storica). Lo “scandalo” al massimo è occasione di tentazione – come l’indecenza lo è della brama, non la crea dal nulla, ma la fa manifestare. E’ comodo perché distoglie gli occhi da noi stessi e dalle nostre colpe e ci fornisce un capro espiatorio. Ma l’atto di volontà della fede non è l’unico momento di una decisione finale: è un atto permanente che si ripete, una situazione che deve durare – così noi preghiamo per la “perseveranza conclusiva”. La tentazione di “non credere” (che in realtà significa il rifiuto di Nostro Signore e delle Sue richieste) è sempre dentro di noi. Una parte di noi anela a trovare una scusa fuori di noi per mollare. Più forte è questa tentazione interiore più facilmente e più severamente saremo scandalizzati dagli altri. Penso di essere tanto sensibile quanto te (o qualsiasi altro cristiano) di fronte agli scandali, siano essi del clero che dei laici. Io ho sofferto dolorosamente nella mia vita a causa di preti stupidi, stanchi, ignoranti o persino cattivi; ma ora mi conosco abbastanza bene da sapere che non lascerò la Chiesa (che per me significherebbe lasciare l’alleanza con Nostro Signore) per una qualsiasi di queste ragioni: la lascerei se non credessi, e non crederei nemmeno se incontrassi qualche sacerdote saggio e santo. Negherei i Santi Sacramenti, cioè: definirei il Nostro Signore un imbroglio. Se Egli è un imbroglio e se lo sono anche i Vangeli – cioè: racconti distorti di un megalomane demente (che è l’unica alternativa), allora naturalmente lo spettacolo inscenato dalla Chiesa (nel senso dei sacerdoti) in passato e oggi è semplicemente la prova di una gigantesca frode. Ma se così non è, allora questo spettacolo è, ahimè! solo quello che ci si doveva aspettare: cominciò prima della prima Pasqua, e non deve influenzare la fede – tranne per il fatto che ci addolora profondamente. Ma noi dovremmo addolorarci per conto di Nostro Signore, associandoci agli scandalizzatori e non ai santi, senza gridare che non possiamo accettare Giuda Iscariota, o l’assurdo e codardo Simon Pietro o le sciocche donne simili alla madre di Giacomo che cerca di spingere suo figlio. Ci vuole un’incredibile dose di scetticismo per non credere che Gesù non sia veramente esistito, e ancora di più per non credere alle cose che gli vengono attribuite — è così improbabile che possano essere state inventate da qualsiasi altro al mondo, all’epoca: come per esempio: «prima di Abramo venne ad essere l’Io sono» (Giovanni, VIII). «Colui che ha visto me ha visto il Padre» (Giovanni, IX); oppure la promulgazione dei Santi Sacramenti in Giovanni, V: «Colui che mangerà la mia carne e berrà il mio sangue avrà vita eterna». Noi quindi dobbiamo credere in Lui e in quello che ha detto e assumercene le conseguenze; oppure rifiutarlo e assumercene le conseguenze. Io trovo difficile credere che chi abbia preso anche solo una volta la Comunione, consapevolmente, possa poi rifiutare di credere in Lui senza incorrere in una grave colpa. (Comunque, Lui solo conosce ogni anima e le circostanze in cui si trova.) L’unico rimedio contro il vacillare e l’indebolirsi della fede è la Comunione. Benché sia sempre lo stesso, perfetto e completo e inviolato, il Santo Sacramento non agisce completamente e una volta per tutte in ognuno di noi. Come l’atto di Fede deve essere ripetuto e così accresce la sua efficacia. La frequenza garantisce il massimo effetto. Sette volte alla settimana è più efficace che sette volte dopo lunghi intervalli. Inoltre ti raccomando questo esercizio (ahimè! è fin troppo facile trovare il modo di praticarlo): fa’ la tua Comunione in un ambiente che urti i tuoi sentimenti. Scegli un sacerdote che borbotta e tira su col naso oppure un frate orgoglioso e volgare; e una chiesa piena della solita folla borghese, bambini maleducati — da quelli che gridano a quei prodotti delle scuole cattoliche che nel momento in cui il tabernacolo viene aperto si siedono e sbadigliano — giovani sporchi e con le camicie sbottonate, donne in pantaloni e spesso con i capelli arruffati e senza velo. Vai a fare la Comunione insieme a loro (e prega per loro). Sarà la stessa cosa (o anche meglio) che assistere ad una messa detta splendidamente da un sant’uomo e ascoltata da poca gente devota e decorosa. (Non sarà mai peggio della confusione di quando Gesù nutrì i cinquemila - dopo di che annunciò quello che sarebbe stata la Comunione.) Io stesso sono convinto delle affermazioni di Pietro, né guardandosi intorno nel mondo sembrano esserci molti dubbi (se il cristianesimo è vero) su quale sia la vera Chiesa, il tempio dello spirito morto ma vivo, corrotto ma santo, che si rigenera e rivive. Non che uno debba dimenticare le sagge parole di Charles Williams, che è nostro dovere occuparci degli altari accreditati e stabiliti, benché lo Spirito Santo possa mandare il suo fuoco da altre parti. Dio non può essere limitato (nemmeno nell’ambito dell’edificio che ha fondato) – della qual cosa San Paolo è il primo esempio – e può usare qualsiasi canale attraverso il quale far arrivare la sua grazia. Persino amare Nostro Signore, e chiamarlo Signore e Dio, è una grazia e può portare altra grazia. Tuttavia, per non parlare solo di casi singoli, il canale principale deve essere quello istituzionale, altrimenti correrebbe il rischio di estinguersi nella sabbia. Oltre al Sole c’è la luce della Luna (che può essere tanto brillante da permettere di leggere); ma se il Sole scomparisse, non si riuscirebbe più a vedere la Luna. Che cosa ne sarebbe della cristianità oggi, se la Chiesa romana fosse stata distrutta? Ma per me quella Chiesa di cui il Papa è capo riconosciuto ha un merito maggiore, e cioè quello di aver sempre difeso il Santo Sacramento e di avergli reso sempre onore e di averlo messo (come Cristo voleva) al primo posto. “Nutrite le mie pecorelle” fu il Suo ultimo incarico a San Pietro; e dato che le Sue parole vanno sempre intese alla lettera, suppongo che fossero riferite principalmente al Pane della Vita. E’ stato contro questo che venne lanciata la prima rivolta dell’Europa occidentale (la Riforma) – contro “la favola blasfema della messa” – e le opere della fede sono state una falsa pista. Credo che la più grande riforma del nostro tempo sia quella portata avanti da san Pio X: superando tutto quello, di cui pur c’era bisogno, che il Concilio deciderà. Mi chiedo in che stato sarebbe la Chiesa se non fosse per quella Riforma.

Ma io sono uno di quelli che è fuggito dall’Egitto e prego Dio che nessuno della mia stirpe debba ritornare là. Ho assistito (comprendendo solo a metà) alle eroiche sofferenze e alla morte precoce in grande povertà di mia madre che mi ha fatto entrare con sé nella Chiesa; e ho ricevuto lo straordinario aiuto di Francis Morgan. Ma mi sono innamorato dei Santi Sacramenti fin dall’inizio – e grazie a Dio non me ne sono mai allontanato: ma, ahimè!, non ho vissuto sempre alla loro altezza. Vi ho allevati male e vi ho parlato troppo poco. Per cattiverie e per pigrizia ho quasi smesso di praticare la mia religione – specialmente a Leeds, e al 22 di Northmoor Road. Non per me l’Abisso dei Cieli, ma la voce silenziosa del Tabernacolo e quella sensazione di fame implacabile. Mi rammarico amaramente di quei giorni (e ne soffro); soprattutto perché ho fallito come padre. Ora prego per voi tutti, senza soste, che il Salvatore (the Haelend, come il Redentore veniva chiamato in inglese antico) mi guarisca dei miei difetti e che nessuno di voi debba mai smettere di invocare Benedictus qui venit in nomine Domini.
Dalla lettera del 1 novembre 1963 a Michael Tolkien, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.380.

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